Non so se è ancora presto per scrivere qualcosa, eppure sento che ho bisogno di fermare su carta almeno qualche sensazione. Per non dimenticare, perché la memoria non ne falsi il valore e il significato. Non si può capire una costellazione finché non ci si ritrova in questo cerchio di persone. Non è un caso esserci. E lo capisco subito, dal fatto che nessuna di queste facce di sembra sconosciuta. E questo non mi sorprende nemmeno. Mi fa sorridere. Percepisco di essere aperta, come se in questo momento il mio posto non possa essere che questo. Qui e ora. Lo sento forte. Giuseppe comincia a parlare. Tutto comincia, o forse è già cominciato mesi prima, anni, generazioni fa. Il tempo è un vortice mentre con gli occhi chiusi la sua voce ci scollega dal quotidiano. All’improvviso la mano di mio nonno, sulla mia spalla sinistra. La mia famiglia d’origine dietro di me. Mia mamma piccola, l’età di Ettore, alla mia destra, vestita di bianco con i capelli neri raccolti da due fiocchi. Riapro gli occhi e Giuseppe mi ha già teso la mano, sono un attimo disorientata: io? Subito? E lui: sì, sei già pronta da tanto tempo. Mi fa delle domande, di me il mio lavoro: non so rispondere, non so definire me attraverso il mio lavoro, neanche quando dico “faccio la mamma”. Io sono mamma. E’ diverso. Mi chiede in una parola perché sono qui. Rispondo: la verità. Cerco la verità, la cosa giusta da fare. In tutto ciò che vedo e faccio cerco se è giusto o sbagliato. E le cose sbagliate mi riempiono di sensi di colpa, anche se è qualcosa successo dall’altra parte del globo. Giro intorno a qualcosa, lui prende un’altra direzione: chi è più forte: tua madre o tuo padre. Bella domanda, già capire cosa significa forte.. Mio padre, rispondo. Sei sicura? Io: ma per forte si intende la figura più di riferimento per me o? Lui: più forte. Io: mio padre. Allora mi fa scegliere una figura che rappresenti me: senza esitazioni scelgo un ragazzo dal cerchio. E una che rappresenti mia madre: una donna con capelli e corporatura, forma del viso.. ci vedo lei. Appena cominciano a muoversi nello spazio mi sento travolgere: lui le volge subito le spalle: è rabbioso. Tremo come una foglia. Mi fa alzare, mette la mia mano in quella di lui. La sua rabbia passa dalla mano e me la prendo tutta io. Piango, tremo, scossa come una barchetta nella tempesta. I miei ricordi sono avvolti dal dolore. Ricordo d’ora in poi un forte dolore. Giuseppe sceglie altre due figure. Mia nonna e sua madre. Io guardo tutto da lontano col ragazzo sempre per mano, non riesco a smettere di piangere e tremare, fino alla fine. Mette le tre donne in fila. Fa voltare mia nonna verso la bisnonna. E’ un blocco di marmo, mia nonna. Mi dispiace, ho fatto quello che potevo, le suggerisce Giuseppe. Lei è bloccata. Non riesce a parlare. Qualcosa di inanimato. Sua mamma la guarda con un sorriso bellissimo: è quello che mi sono sempre immaginato pensando alla mia bisnonna, quando me la descriveva mia mamma: come una donna molto buona, con tanti figli, ma buona. Mia nonna fa molta fatica ad uscire dal suo blocco, sento il suo grande dolore. Lo vedo, ora. Si scioglie e ora può appoggiarsi con le spalle a sua madre. Finalmente. Poi mia mamma. Me lo ricordo meno il suo viso. Ero travolta dal dolore ormai un fiume in piena, Giuseppe che mi massaggia la schiena, mi dice di lasciar andare, lasciar andare. Anche lei ritrova pace e si appoggia alla madre. Giuseppe mi suggerisce di dirle: io sono piccola, tu sei grande. No, lei è ancora piccola e io grande. No, dice lui, ripeti: tu sei la piccola e lei la grande. Lascio finalmente la mano del ragazzo. Faccio un passo verso di loro. Dolore forte. Crollo. Per la prima volta in vita mia so cosa vuol dire sentirsi piccola. Piccola e che è giusto così. Sento un grosso peso cadermi dalle spalle. Posso essere piccola, è giusto. Abbraccio le donne della mia famiglia. Hanno tutte un’espressione bellissima, di accoglienza, che diventa la mia. La vita scorre finalmente liberata. Alle mie spalle dove prima era il ragazzo, il mio vecchio me, ora c’è la mia vita nuova. Le posso andare incontro, forte delle mie radici. Non ci sono sensi di colpa, sensi di abbandono. Sento le mie donne serene e mi danno un’enorme forza per andare ad abbracciare la mia famiglia. Una donna mi si avvicina, dopo e mi dice: se fare una costellazione significa vedere la trasformazione che è avvenuta nel tuo viso, allora è una cosa che auguro anche per me. Giuseppe mette una mano sul mio ventre. Io sono un uomo. Tu sei una donna. Sei fatta per accogliere. Sei bellissima e Antonio si innamorerà follemente di te. Hai tanto dolore dentro, fallo uscire. Non avere paura. La mia costellazione si scioglie. Io esco, ho bisogno di stare sola. Di stare fuori, sentire l’aria, il sole. Il calore e l’energia del sole. Sto bene, ma sono consapevole del dolore che ho. Non ne ho paura. Lo vedo. Dopo non si riesce a parlare. Non se ne sente il bisogno. Sono troppe le cose che si sono messe in movimento. E tutto prosegue con le altre costellazioni. Ognuna di esse fa parte di me e io ne faccio parte, anche stando seduta al mio posto. Solo per il fatto di esserci. Il viaggio di ritorno è silenzioso, sono stanca, come se questa giornata fosse durata anni. E forse è proprio così. Antonio mi accoglie e asseconda i miei tempi. Mi infilo a letto, il pensiero è sospeso. Dormo. Profondamente. Come una bambina.. Il giorno dopo è giusto e bello ritrovarci. Sento forte il bisogno di continuare il lavoro iniziato. Sento di più il dolore, ora lo vedo. In me e negli altri. E quando lo lascio uscire è come se bruciasse a contatto con l’aria. Ma è così tanto, anche negli altri.. L’ultima costellazione: sono il femminile di una donna. All’inizio lontano, solo. Dimenticato dalla baldoria baccanale del suo maschile. Mi sento rifiutata, tradita, mi accuccio sotto un tavolo. Dimenticata. Comincio a picchiare con rabbia sulla gamba del tavolo. La donna si accorge di me. Viene a prendermi, ma non lo sa ancora fare. Oppongo un rifiuto. Capisce che forzarmi non può servire. Va da maschile e dal femminile dell’uomo. Non so bene cosa succede, ma quello che fa mi fa muovere, lentamente verso il maschile di lei. Ci abbracciamo, siamo un tao. Giuseppe ci porta verso la donna, mette le nostre mani in quelle della donna. Il maschile è tranquillo. Io vengo riassalita dalla rabbia del rifiuto. Lei ride forte, non può farne a meno. E’ la sua difesa. Io mi sento tradita dalla sua risata. Pian piano va incontro all’uomo. Lo onora. Allora sento muovermi dietro di lei, appoggio le mani sul suo ventre, sono con lei. L’uomo si avvicina, sento l’accoglienza. Metto le mai sui reni di lei, mi piego la testa sulle mie mani. Sento le mani dell’uomo abbracciarci, le sento sulle mie. Forti e dolci. Ci tengono. Comincio a muovermi come se l’essenza del femminile fosse un’araba fenice, la sento accendersi e crepitare, sempre più forte. Non posso smettere di ondeggiare e di muovermi e diventiamo un tutt’uno che danza questo stesso ritmo crescente. Sembra di fare l’amore, ma in un modo in cui non l’ho mai fatto. Sento una gioia bellissima, mai provata, un orgasmo salirmi dalla profondità del mio essere donna.. Giuseppe ci allontana. Faccio molta fatica a tornare. Ho scoperto cos’è il femminile di una donna, grazie a lei, grazie a questa costellazione, grazie a tutto. Porto a casa questa forza luminosa che ho dentro ora. La vedo e la curo. Come vedo e curo il mio dolore. Il mio progetto è di guardare mia mamma negli occhi e dirle: ti voglio bene, come una bimba alla sua mamma. Come è giusto che sia. Senza paura. Agire è manifestare.
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